Mathieu Bock-Côté Journal de Montréal
Lunedì, 16 aprile 2018
Esiste un punto di vista delle piccole nazioni sul mondo. Quando penso alla Russia, mi metto nei panni dei paesi Baltici. E quando penso alla Spagna in questi giorni, mi metto nei panni dei Catalani. Vale a dire, mi metto quasi spontaneamente nella situazione dei popoli che sono ancora costretti a giustificare la loro esistenza e le cui rivendicazioni sembrano sempre offensive agli occhi delle nazioni già comodamente insediate in un’indipendenza che non avrebbero mai avuto l’idea di sacrificare. L’indipendenza, per un popolo, è l’aspirazione più naturale e nobile. Si può credere che non sia sempre necessaria o che non corrisponda agli interessi di ciascuno. Ma dovremmo evitare di prendere in giro coloro che stanno lottando per ottenerla. Uno non diventa più grande se qualifica come farsa il tentativo fallito d’indipendenza della Catalogna.
Ciò non significa che io confonda la situazione del Québec con quella di altre piccole nazioni: ogni storia nazionale è singolare ed è attraversata dal proprio destino. Non è perché il Québec deve essere indipendente che anche la Catalogna debba esserlo. In questa materia, dobbiamo rispettare lo schema mentale. Ma ciò significa che posso comprendere la situazione di queste nazioni troppo spesso considerate, dalle grandi capitali, come delle tribù insignificanti che disturbano i grandi equilibri geopolitici. Ciò significa che giudico assolutamente scandaloso la carcerazione dei leader catalani, che sono i prigionieri politici di un regime che ha deciso di assumere una gestione repressiva dell’insurrezione democratica catalana. Quando vedo il modo in cui la Spagna ha trattato i catalani, temo che Madrid possa suggerire delle idee a Ottawa per sottomettere i Quebecchesi quando ci sarà un terzo referendum sull’indipendenza – anche se, per il momento la cosa è piuttosto ipotetica.
Allo stesso modo, non oserei chiedere se i catalani sono una vera nazione, se formano un vero popolo, come abbiamo potuto leggere qua e là in questi ultimi mesi. Non oserei chiedermi se questi catalani stanno esagerando con la loro pretesa di formare una nazione a tutti gli effetti, come se fossero dei piccoli narcisisti che si prendono per ciò che non sono e dandosi un titolo che non meritano. Non mi verrebbe in mente di ridurre la loro identità nazionale a una simpatica identità regionale molto bella ma senza alcuna base politica. Identità regionale: il termine ha qualcosa di sprezzante. Essa testimonia il riconoscimento di una realtà che non può essere negata ma che, generalmente, rifiutiamo di nominare per quello che è. Le nazioni non-sovrane non sono nazioni di tipo inferiore, indegne di un’indipendenza che invece è così importante per quelle che già ce l’hanno.
Il punto di vista delle piccole nazioni è legittimo e deve essere preso in considerazione. Per lo meno, dovrebbe. Invece, raramente lo è. Kundera ci ha insegnato che solo le piccole nazioni sono interessate al proprio destino. Provocano emozione solo a sé stesse. Eppure, incarnano una parte essenziale della diversità del mondo. Ci ricordano che l’uomo non è mai immediatamente universale. Egli partecipa nel mondo attraverso la mediazione di una cultura, di una storia, e quest’ultima non si sovrappone completamente a quella della razza umana. Le piccole nazioni lo sanno. Hanno l’intima consapevolezza della pluralità del mondo e affermano che anche se non hanno il privilegio del potere, la loro esistenza non è meno degna di esso. In genere, una piccola nazione non vuole imporsi agli altri ma pretende di far sapere al mondo che esiste.
Niente è eterno in questo mondo, nemmeno le nazioni. So che se il Québec scomparisse, la storia dell’uomo probabilmente non ne sarebbe sconvolta. Presto ci si dimenticherebbe di questi francofoni che ostinatamente hanno resistito alla pressione assimilatrice del loro continente. Che strana idea avevano di parlare francese in America e di cercare di formare uno Stato indipendente? Parleremo poi dei quebecchesi pensando che non si può resistere alla fatalità storica: era ovvio che, prima o poi, sarebbero scomparsi. E poiché rimarrà un piccolo retaggio nelle regioni a proseguire con questa identità caduta, li chiameremo “quebecchiani” e saranno i testimoni di una storia che sopravvive solo come folclore. Una nazione che si dissolve lasciando solo poche tracce delle sue vecchie aspirazioni.
Ma dal momento che sono del Québec, non posso pensare alla nostra scomparsa come a una semplice nota in calce nella storia del mondo. Non posso credere che il nostro punto di vista sul mondo sia un’eccentricità locale, senza interesse, senza grandezza, senza nobiltà. Non accetto che la nostra storia sia in definitiva quella di un popolo che ha fallito la ricerca della piena esistenza politica. E allo stesso modo, sono in grado di mettermi nella pelle di un catalano che si ritrova oggi con il fallimento di una indipendenza che ha sempre sognato. E sono in grado di immaginare quanto possa essere catastrofico psicologicamente e culturalmente. So cosa significa volere un paese con tutto il cuore e sentire che non potresti averlo mai.
A seconda che guardi il mondo da Montréal, da Edimburgo, da Londra, da New York o da Roma, non leggerai la questione catalana allo stesso modo.
traduzione Àngels Fita Coll-ANC Italia
http://www.journaldemontreal.com/2018/04/16/le-point-de-vue-des-petites-nations
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