È giusto considerare Puigdemont alla stregua di un terrorista o di un ladro, perché di questo si tratta, consegnandolo nelle braccia di un sistema che potrebbe condannarlo a 30 anni di carcere?
di Paolo Valentino IlCorrieredellaSera 26.03.2018
Puigdemont (foto Epa)
È una classica contraddizione weberiana, tra etica dei valori e etica della responsabilità, quella che si trova a fronteggiare la Germania, con l’arresto del leader catalano Puigdemont, in esecuzione di un mandato di cattura europeo emesso dalle autorità spagnole. La Repubblica federale, come tutti i Paesi della Ue, ha sottoscritto un meccanismo basato sulla reciproca fiducia, in grado di rendere più semplici le procedure di estradizione all’interno dello spazio comunitario. Come spiega oggi nell’intervista al Corriere il professor Martin Heger, il mandato di cattura europeo implica che ogni Paese si fidi dello Stato di diritto di un altro e viceversa. Per questo, quando viene emesso per una delle 32 categorie di reati gravi previste, comporta una procedura squisitamente giuridica, priva cioè di influenze politiche.
Responsabilità dei giudici dello Schleswig-Hollstein, il Land dove il leader secessionista è stato intercettato su segnalazione dei servizi spagnoli e fermato, è dunque di verificare che i reati contestati dai colleghi madrileni a Puigdemont siano compatibili con quelli previsti dal codice penale tedesco e se del caso concedere l’estradizione. È poco probabile però, secondo gli esperti, che questa venga decisa sulla base dell’accusa di ribellione, visto che il reato analogo in Germania, quello di «alto tradimento», è legato indissolubilmente alla violenza o all’incitazione alla violenza. Puigdemont non ha mai lanciato alcun appello alle armi, a meno di non considerare tale l’appello al voto. È invece più verosimile, ancorché ugualmente controverso, che l’accusa buona per estradarlo si riveli alla fine quella di appropriazione indebita di denaro pubblico, usato dall’ex presidente catalano per organizzare una consultazione considerata illegale e in violazione dell’ordine costituzionale spagnolo.
Fin qui l’etica della responsabilità, appunto, cui difficilmente la Germania potrà sottrarsi nel rispetto delle regole europee liberamente sottoscritte e della fiducia dovuta ai partner. «La Spagna è uno Stato di diritto», ha ribadito ieri il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert. I valori sono un’altra cosa, specialmente per un Paese ad altissima sensibilità democratica e garantista come in ragione della sua storia è la Repubblica Federale. Forse con una punta di esagerazione, la Sueddeutsche Zeitung ha toccato il nervo scoperto di questa vicenda, definendo Puigdemont il «primo prigioniero politico» della Germania.
Sarà possibile per il governo tedesco ignorare questa semplice verità e trincerarsi dietro la procedura tecnica? È giusto considerare Puigdemont alla stregua di un terrorista o di un ladro, perché di questo si tratta, consegnandolo nelle braccia di un sistema che potrebbe condannarlo a 30 anni di carcere? «Il mandato di cattura europeo non è uno strumento per regolare questioni di politica interna con l’aiuto di pubblici ministeri stranieri», commenta Wolfgang Janisch sul giornale bavarese. Né la fiducia reciproca su cui si fonda l’intero costrutto può essere cieca, ignorando il sospetto di persecuzione politica che accompagna l’azione delle autorità centrali spagnole contro i leader del movimento catalano. Perché se è vero che la secessione catalana non è legale, né costituzionale, è difficile per la Germania come per ogni altro Paese accettare che Madrid tenti di sconfiggere un movimento di massa democratico solo con la forza o il codice penale esteso all’intero territorio comunitario grazie al mandato di cattura europeo. Quanto sia sanabile la contraddizione weberiana tra responsabilità e principi è impossibile dire. Forse non lo è. E questo pone il nuovo governo tedesco in una posizione molto complicata, tanto più alla luce degli ottimi rapporti da sempre intercorsi tra Angela Merkel e Mariano Rajoy. Il caso è già politico. I Verdi suggeriscono che Berlino promuova un negoziato tra il governo di Madrid e i leader catalani, affidando la mediazione alla Commissione europea.
Una cosa certa. Nella sua improbabilità, Puigdemont ha internazionalizzato la vicenda catalana, confermando che nella Ue non esistono più crisi locali, che ogni battito d’ali provoca ripercussioni profonde e che farebbe bene l’Europa a prenderne atto.
http://www.corriere.it/opinioni/18_marzo_27/germania-puigdemont-divisa-c50797ec-3120-11e8-b98c-6b7fd54f26e4.shtml
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