Quel silenzio dell'Europa sulla Spagna

 
L’arresto de Puigdemont
Andrea Bonanni    La Reppublica   26.03.2018
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Adesso che l’Europa ha arrestato Puigdemont in nome e per conto della Spagna, si spera che farà più fatica a  voltarsi dall’altra parte e fingere ipocritamente di ignorare la questione catalana e l’uso strumentale della giustizia da parte di Madrid, come ha fato finora.
Il mandato di cattura europeo è servito a poco per combattere il terrorismo jihadista. Non è bastato per fermare la diffusione delle mafie nella Ue. Ma è stato utilizzato in modo selettivo e mirato per colpire nel modo più duro il leader di un movimento indipendentista che ha vinto prima un referendum, poi  le elezioni, e che non si è mai macchiato di alcuna violenza. Per l’immagine dell’Europa è un altro colpo che rischia di fare male. Se davvero Puigdemont fosse un criminale, i giudici spagnoli, dietro i quali si nasconde il governo a guida Pp di Madrid, avrebbero potuto, e dovuto, chiederne l’arresto quando si trovava in Belgio, o quando è andato in Finlandia, o ancora quando è passato per la Danimarca. Non lo hanno fatto perché in quei Paesi non è previsto il reato politico di “ribellione e sedizione” che loro gli contestano. E dunque, se il leader fosse stato estradato, avrebbero potuto processarlo solo per imputazioni minori, le quali non prevedono il carcere fino a trent’anni, che evidentemente vorrebbero infliggerli. Così hanno aspettato che entrasse in Germania, dove esistono figure di reati simili a quelle contemplate dal codice spagnolo, per far scattare la trappola e mettergli le manette.
Ma le manette ai polsi di Puigdemont ora sono tedesche. Tedesco è il carcere dove si trova rinchiuso. Tedeschi i giudici che dovranno decidere se concedergli asilo politico o decretarne l’estradizione sulla base di una normativa europea. La diaspora dei dirigenti catalani democraticamente eletti  e costretti a fuggire dalla repressione spagnola ha ormai toccato mezza Europa. Ieri in Scozia si è consegnata alle autorità una esponente indipendentista. Altri si trovano in Svizzera. Altri ancora in Belgio. L’Europa ha giuridicamente poche possibilità di non applicare il mandato di arresto che essa stessa ha approvato. D’altra parte, se ora saranno i giudici tedeschi, o belgi, o scozzesi, a consegnare nelle mani degli inquisitori spagnoli gli uomini politici da loro ricercati, la Ue non potrà continuare a disinteressarsi dalla loro sorte. Come non potrà continuare a ignorare che il Parlamento catalano eletto in dicembre non è in condizioni di nominare un governo perché i potenziali candidati sono tutti in carcere o ricercati. Che otto deputati catalani sono in stato di detenzione preventiva anche se non hanno commesso alcuna violenza. E che decine di sindaci, funzionari e amministratori catalani sono stati denunciati all’autorità giudiziaria per il semplice fatto di aver compiuto il loro dovere di pubblici ufficiali della Generalitat.
Fino a quando l’Europa che mette sotto accusa la Polonia per una legge sulla nomina dei giudici costituzionali potrà fingere di non vedere quello che la Spagna sta facendo in Catalogna? Certo, il governo ultraconservatore polacco non fa parte della “grande famiglia” del Partito Popolare Europeo. Invece le sorti del Pp spagnolo di Mariano Rajoy saranno essenziali per determinare chi vincerà le prossime elezioni europee. Ma anche il modo in cui i leader popolari di mezza Europa gestiranno la crisi catalana, diventata ormai una crisi comunitaria, avrà pure una qualche influenza sugli elettori di un partito che pretende di essere una cardine della democrazia della Ue.
 
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