L'intervento chirurgico della Spagna in Catalogna si trasforma in un'ardua campagna

 
 
Il tentativo di Rajoy di imporre l’ordine nella regione rischia di pregiudicare il suo partito nei sondaggi.
Financial Times  02.03.2018

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Mariano Rajoy, primo ministro spagnolo, soto pressione per la crisi non risolta in Catalogna

 
Quando, lo scorso anno, il governo spagnolo ha fatto ricorso ai poteri straordinari per assumere il controllo diretto della Catalogna e soffocarne la spinta indipendentista, sperava che sarebbe stata una misura temporanea.
 
Ma, a quattro mesi di distanza, l’intervento chirurgico pianificato dalla Spagna – che mirava a destituire rapidamente i principali leader e riportare l’ordine nella regione dopo che si era autodichiarata repubblica indipendente – si sta convertendo in una campagna elettorale lunga e costosa.
 
Nel Partido Popular del primo ministro Mariano Rajoy attualmente al governo, cresce la paura che il perdurare dello stallo politico possa compromettere la posizione del partito nei sondaggi, destabilizzando il delicato dibattito sul bilancio o, addirittura, portando a elezioni anticipate.
 
“La Catalogna sta mettendo un’enorme pressione sul governo e sull’intero sistema politico spagnolo”, afferma Pablo Simón, professore di politica all’Università Carlos III di Madrid. “e non si intravede nessuna via d’uscita.”
 
L’impasse era iniziata a dicembre, dopo le elezioni regionali catalane imposte, in tempi strettissimi, da Rajoy con l’obiettivo di mettere fine al controllo diretto temporaneo sulla Catalogna. Il premier sperava di riuscire a restituire il potere a un governo catalano più accomodante e meno rigido.
 
Invece, i partiti indipendentisti hanno riconquistato una risicata maggioranza nel parlamento locale e hanno subito provato a rinominare primo ministro il loro ex leader, Carles Puigdemont, nonostante viva ormai in esilio a Bruxelles dopo aver guidato il fallito tentativo indipendentista.
 
Se torna in Spagna, Puigdemont dovrà rispondere del reato di sedizione e ribellione. E il mese scorso la giustizia spagnola ha decretato che non può essere leader perché non potrebbe presenziare alla propria investitura in parlamento.
 
In risposta, questa settimana i separatisti hanno elaborato un piano in base al quale Puigdemont dovrebbe diventare il leader simbolico della regione dal Belgio mentre, concretamente, il ruolo effettivo di primo ministro andrebbe a Jordi Sánchez, un altro illustre separatista.
 
Ma probabilmente neppure Sánchez è idoneo alla carica: si trova infatti in stato di carcerazione preventiva, anche lui per sedizione e ribellione.
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Rafael Catalá, ministro della giustizia spagnolo, ha affermato questa settimana che, così come la nomina a leader di Puigdemont è “impensabile”, è “difficile” immaginare un presidente “che è in prigione e non può esercitare le proprie funzioni”.
 
Quindi, la proposta nomina di Sánchez, impedirà molto probabilmente ai catalani di formare un nuovo governo in tempi brevi o a Madrid di restituire il potere ai leader catalani.
 
A parte le incombenze legate alla gestione del governo catalano, una delle principali complicazioni che derivano a Madrid dal controllo diretto sono le ripercussioni che la situazione può avere sul bilancio 2018.
 
Per fare approvare la legge di bilancio il governo minoritario del PP conta sul sostegno del partito liberale Ciudadanos e del PNV basco. Ma il Partito Nazionalista Basco è stato critico sulla maniera in cui il PP ha gestito la crisi catalana e non darà il suo appoggio finché è in vigore il controllo diretto sulla Catalogna.
 
Mercoledì, Pedro Sánchez, capo del partito Socialista all’opposizione, ha alzato la posta sulla legge di bilancio affermando che, se non riesce a farla votare dal parlamento, Rajoy dovrebbe indire elezioni generali anticipate (la scadenza naturale sarebbe il 2020)
 
“La posizione di un governo che non è in grado di approvare il bilancio è insostenibile”, ha affermato nel corso di un’intervista a El Confidencial. “Se Rajoy non ci riesce l’unica cosa che può fare è ricorrere alle urne.”
 
Un’altra complicazione per il governo è che, finora, chi è uscito vincitore dalla crisi catalana è stato Ciudadanos, da sempre oppositore del nazionalismo catalano.
 
Ciudadanos è salito notevolmente nei sondaggi fin dalla fine dello scorso anno, cavalcando l’onda del rinato sentimento nazionalista spagnolo. In alcuni ha addirittura superato il PP.
 
“Questa crisi non risolta [con la Catalogna] sta danneggiano il governo… la crescita di Ciudadanos ne è il risultato”, sostiene Manuel Arias Maldonado, professore di scienze politiche all’Università di Malaga.
 
I partiti indipendentisti affermano pubblicamente di voler formare un governo e far cessare al più presto il controllo diretto di Madrid. In un’intervista a El Nacional di questa settimana, il separatista Sánchez ha detto che la regione ha bisogno di “un nuovo governo effettivo”
 
Ma, dietro le quinte, molti –in particolare nei ranghi di Juntsxcat, il maggiore dei partiti indipendentisti – si rifiutano di farlo nei termini posti dal governo spagnolo.
 
E per altri sembra preferibile mantenere alta la tensione piuttosto che mostrare un cedimento davanti alla Spagna.
 
“Le emozioni sono molto forti e la gente è arrabbiata [a Madrid]”, dice una persona vicina al partito Juntsxcat a Barcellona. “In un’atmosfera del genere nessuno – se pure volesse farlo – si azzarderebbe a suggerire un compromesso”.
 
traduzione  Beatrice Parisi
 
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