ELENA MARISOL BRANDOLINI strisciarossa.it 30.1.2017
BARCELLONA – Normalmente in Catalogna, quando un presidente della Generalitat non è più nelle funzioni, conserva il titolo; succede così anche quando si è assunto l’incarico di presidente del governo spagnolo. Ma la Giunta elettorale, già attiva per le elezioni catalane del 21 dicembre prossimo, ha proibito ai mezzi d’informazione pubblici catalani di chiamare Carles Puigdemont “presidente”, così come i componenti del suo governo “consiglieri” in esilio o imprigionati. Perché, agli effetti dell’applicazione dell’articolo 155, sono tutti degli “ex”, perché la condizione di “esilio” non esiste e forse non ci sono, o non ci sono mai stati, neppure dei politici catalani in carcere nell’ultimo mese.
La Giunta ha anche proibito l’uso del colore giallo nei fiocchi portati ai seggi elettorali in segno di lutto per la libertà dei prigionieri politici, e nelle fontane e sulle facciate degli edifici municipali con cui il Comune di Barcellona aveva voluto colorare le luminarie natalizie in segno di solidarietà. D’altra parte, il fatto che le elezioni siano state convocate dal presidente del governo spagnolo, che il governo della Generalitat sia stato destituito d’autorità, che metà di questo governo sia finito in carcere e l’altra metà con Puigdemont si sia rifugiato a Buxelles sottoponendosi alla giustizia belga, non depongono per una recuperata normalità politica in Catalogna, a cominciare dal fatto che non tutti i candidati delle liste godranno delle medesime condizioni di libertà per fare la campagna elettorale.
Il mondo indipendentista s’interroga un po’ sgomento su come si sia potuti arrivare a questo punto. L’autocritica è ancora affrettata, troppo obbligata dagli avvenimenti giudiziari, si fatica ad individuare una nuova prospettiva. La Repubblica è durata solo alcune ore, poi tutto è stato normalizzato dall’applicazione del 155. Il cambio è iniziato con l’1 di ottobre. Da un lato l’orgoglio per aver mantenuto la compostezza democratica e pacifica, dall’altro l’inaudita violenza della polizia spagnola che nessuno immaginava così. E poi lo sciopero del 3 ottobre, quando persone avvolte nelle diverse bandiere si ritrovarono insieme in piazza per la democrazia. Fino al discorso del re Felipe VI, che schierava senza esitazione la monarchia a sostegno del governo di Mariano Rajoy, dando inizio e copertura alla reazione successiva dello Stato spagnolo.
Puigdemont, in questi giorni, ha detto che non aveva convocato le elezioni invece di proclamare la repubblica, come pure ebbe in mente di fare ad un certo punto, perché il governo spagnolo non gli assicurò mai che avrebbe desistito dall’applicazione del 155. D’altronde, il ricorso al 155 è un’azione che il PP rivendica con fierezza in questa campagna elettorale, minacciandone la reiterazione. Il president ed altri esponenti dell’indipendentismo hanno anche spiegato che se la proclamazione della repubblica si limitò ad un atto puramente simbolico fu per evitare al popolo catalano una nuova e più grave violenza da parte delle forze dell’ordine dello Stato.
La campagna elettorale è iniziata a pieno ritmo per lo schieramento costituzionalista, popolari, socialisti e Ciutadans. Un po’ più incerto e sotto tono invece quella dei partiti indipendentisti che si presentano con tre opzioni elettorali diverse anche se unificate idealmente da alcuni punti comuni, a partire dalla fine del 155 e la restituzione del potere alle istituzioni catalane: la lista di Puigdemont, Junts per Catalunya, che si appoggia al Partit Demócrata, la lista di Esquerra Republicana e quella della sinistra radicale della Candidatura d’Unitat Popular. Nel passato, liste separate hanno ottenuto più voti di quelle in alleanza come Junts pel Sí dell’ultima legislatura, ma la situazione è ora molto cambiata nei soggetti che concorrono alle elezioni e nei programmi elettorali. Nel mezzo, c’è la lista progressista dell’area dei Comuns e di Podem, contraria all’applicazione del 155 e alla dichiarazione unilaterale d’indipendenza, che scommette sul dialogo e difende una soluzione pattuita del conflitto e il diritto a decidere del popolo catalano. Difficile dire quale sarà l’esito, poco affidabili ancora i sondaggi, ma per certo sarà una campagna elettorale combattuta fino all’ultimo voto, perché in ballo c’è il futuro della Catalogna.
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