Il capo della Generalitat: “Il referendum si farà, Rajoy non invierà la polizia. Se vincerà il Sì si inaugurerà una fase di transizione che ci porterà fino alla nuova Costituzione”
di CONCITA DE GREGORIO per La Repubblica

BARCELLONA. Carles Puigdemont, 54 anni, è il presidente della Generalitat di Catalogna numero 130. È subentrato ad Artur Mas nel gennaio 2016: lo ha fatto, dice, “in forma inattesa e in maniera provvisoria”. In questa intervista mette in chiaro che, portato a termine il processo referendario, non intende proseguire la carriera politica. Con la stessa convinzione si dice pronto alle barricate politiche con Madrid. Se fosse destituito dal governo prima del primo ottobre, cosa in teoria possibile, non accetterà la destituzione. Esclude che Rajoy mandi la polizia di Stato, la Guardia Civil, a chiudere le urne: sarebbe una foto pessima. Esclude anche che i sindaci dei 948 municipi catalani si lascino intimidire dal governo e non aprano i seggi: ha preparato per questo una legge che presenta domani. Giornalista, ex sindaco di Girona, liberale moderato, pacifista, è dotato di una peculiare capigliatura e di un singolare destino: gli tocca in sorte il ruolo di rivoluzionario antisistema, una sorta di Simón Bolívar per caso. Lo sostiene nello scontro con Madrid la sinistra dei Cup pronta alla rivolta di piazza della quale il Presidente parla, sorridendo, come di un eventualità improbabile, non impossibile.
È certo che il referendum del 1° ottobre si farà?
“Ne sono certo. Una grande quantità di gente vuole votare al referendum anche se non è d’accordo con l’indipendenza. Andare alle urne è questione di dignità democratica e politica. Voteremo e applicheremo il risultato del voto. Se vince il No sciolgo il Parlamento e si va a elezioni. Se vince il Sì si apre una fase di transizione che ci porterà fino alla nuova Costituzione. Si arriverà in questo caso all’indipendenza operando con abilità e saggezza”.
Il presidente Rajoy dice che il referendum è incostituzionale. Che lo impedirà.
“È davvero difficile che possa impedirlo. Sono pacifista e credo nella forza della resistenza. Ho chiesto a Rajoy in varie occasioni di risolvere con dialogo. Di cominciare, almeno, col riconoscere la questione. Mi ha risposto: “Non posso e non voglio permettere un referendum”. Il problema è nel: non voglio. L’anticatalanismo ha sempre aiutato il Partito popolare. Gli dà voti e consenso fuori dalla Catalogna. È la sua polizza sulla vita. Anche per questo non vuole. Non è vero che Rajoy stia fermo, che sia inerte come lo rappresentano. Si muove, ma in maniera subdola e in direzione contraria alla nostra. Guardi Operacion Catalunya: il governo si è mosso mettendo mano a giudici compiacenti, polizia corrotta e servizi segreti per screditarci. È un sistema di potere corrotto”.
Tuttavia la Costituzione parla di indivisibilità dello Stato.
“La Costituzione è aperta e generosa. Permetterebbe una Nazione di Nazioni. Nel 1978, quando è stata scritta, era possibile uno sviluppo in questo senso. Il tentativo di colpo di Stato del 1981 ha cambiato molte cose. Oggi per i funzionari, i burocrati di Stato al potere l’Unità di Spagna è un dogma religioso. Sarebbe più facile discutere col Papa dell’esistenza di Dio”.
È possibile che il governo autorizzi il referendum senza cambiare la Costituzione?
“Il 1° ottobre saranno 40 anni dal ritorno dall’esilio di Josep Tarradellas, il primo presidente della Generalitat del post franchismo. Il 29 settembre ’77 Adolfo Suarez riconobbe per decreto Josep Tarradellas Presidente di Catalogna, e lo fece rientrare”.
È stato prima che fosse varata la Costituzione.
“Sì, ma lo spirito da cui è nata era quello. Rajoy sfortunatamente non è Suarez né Zapatero. Il Ppe ha annullato lo Statut catalano regolarmente votato con un dispositivo della Corte costituzionale, che come tutti sanno è un organismo di nomina politica. C’è stato un momento, davvero grottesco, in cui Rajoy propose che sul caso catalano votassero tutti gli spagnoli”.
Ha parlato del referendum col re?
“In qualche occasione privata. Il re, sarebbe sempre meglio tenerlo da parte. Il problema non è del re”.
In pratica, come pensa di evitare il carcere ai sindaci che dovessero aprire i seggi?
“Nessuno vuole andare in carcere, pagare multe. La minaccia del governo centrale sui funzionari pubblici è pesante, e personale. Domani presenteremo il progetto di una legge di transitorietà giuridica che renderà legale – per il governo catalano – la consultazione. E una che spiega tecnicamente come farla. Saranno entrambe pronte a fine agosto. Lo Stato farà certamente ricorso, in settembre. Si vota il primo ottobre. È una questione di tempi”.
Rajoy potrebbe sospenderla dalla carica di presidente.
“Potrebbe. È una legge che ha voluto lui stesso, recente. Ma non accetterei la sospensione. Sarebbe un atto politico: non potrei accettarla. Tirerei diritto comunque fino al referendum. Se il governo provasse a impedire l’esito di un voto democratico entrerebbe in un giardino dal quale sarebbe difficile uscire”.
Intende dire che chiamerebbe in difesa delle urne le piazze?
“Non ci sarà bisogno di chiedere ai cittadini che difendano le urne. Non succederà niente. Non interverranno né la Guardia Civil di Madrid nè i Mossos de escuadra catalani. Onestamente: credo che la democrazia spagnola non consentirebbe l’intervento della polizia alle urne. Non me lo posso immaginare”.
Pensa che il suo vice Oriol Junqueras, più moderato di lei nel dire che “bisogna pensare ad un processo lungo”, si stia candidando a subentrarle in dialogo con Madrid?
“Escludo che Junqueras stia negoziando con Rajoy. Quanto alle ambizioni personali posso solo dire delle mie. In generale credo che non si possa andare in un tempo nuovo con una squadra vecchia. Chi ha portato alla transizione deve uscirne. Non dubito che emergeranno ovunque figure interessanti. Macron è cresciuto in un anno”.
Le sue ambizioni quali sono?
“Non mi presenterò alle prossime elezioni, a fine processo. La mia opera è stata imprevista, accidentale e provvisoria. Conduco la nave fino in porto. Dalla post- autonomia alla pre-indipendenza, questo è il mio mandato”.
Ne è sicuro?
“Ho 54 anni, ho orientato tutta la vita per passare a Girona, la
mia città, l’ultimo quarto di esistenza. Mia moglie Marcela, le mie figlie che hanno 7 e 10 anni, i miei amici. Voglio leggere, studiare. Non voglio essere assente dalla vita delle mie figlie mentre entrano nell’adolescenza. Voglio vivere nella mia città, insieme a loro”.