Un processo politico da antologia

 
 
Dopo aver fallito nel negoziare un patto fiscale tra la Catalogna e lo Stato spagnolo, il presidente della Generalitat [istituzione di autogoverno della Catalogna] Artur Mas chiamò ad elezioni  politiche catalane nel 2012 e le vinse con una chiara promessa:  convocare una consultazione per sapere se la Catalogna dovesse essere uno Stato indipendente. Più dell’80 per cento dei deputati catalani votarono a favore della consultazione.
Mas convocò ufficialmente la consultazione per il 9 novembre 2014. Dopo diverse azioni giudiziarie spagnole, l’iniziale “consultazione formale non referendaria” fu trasformata in “processo partecipativo non vincolante”, in accordo con la legislazione catalana preesistente. Il Governo spagnolo non aspettò neanche due settimane per impugnare la convocazione di quello che già allora veniva proposto come semplice processo partecipativo senza effetti giuridici. Il governo spagnolo chiese altresì al Tribunale Costituzionale di sospendere la convocazione. Questa corte la sospese cinque giorni prima della data fissata per il voto. La sospensione fu comunicata telematicamente e genericamente al Governo della Generalitat.141211 dichiarazione cornellà foto
Ciononostante, il processo partecipativo giuridicamente non vincolante si tenne nella data stabilita, grazie a 40.000 volontari che ebbero i compiti di aprire i seggi elettorali, coordinare il processo, mettere in moto gli strumenti informatici per garantire il processo e farne conoscere i risultati: più di 2.400.000 persone, corrispondenti all’incirca al 50 per cento degli aventi diritto al voto, espressero la propria opzione nella manifestazione politica non elettorale più grande nella storia del paese.
L’alta partecipazione al voto e una conferenza stampa del presidente Mas chiusero in bellezza il successo del processo partecipativo non vincolante. La Procura Generale dello Stato, il cui titolare è nominato dal Governo dello Stato, dietro istanza di tale governo, costituito allora dal Partito Popolare, si indusse a promuovere querela contro Artur Mas (presidente della Generalitat), Irene Rigau (consigliera di Istruzione Pubblica) e Joana Ortega (vicepresidente del Governo) con le accuse di disubbidienza amministrativa o giudiziaria, prevaricazione (ordinare azioni amministrative pur sapendo che sono illegali) e malversazione di denaro pubblico (spendere denaro pubblico per atti inappropriati).
La Procura della Catalogna rifiutò all’inizio di formulare la querela considerando che i fatti non erano reato, ma, alla fine, a causa delle pressioni del Governo centrale —che perfino provocarono la caduta e la sostituzione del procuratore generale dell’epoca—, la querela fu presentata e ammessa. Il processo cominciò il 6 febbraio 2017 [il13 febbraio si era ancora in attesa della sentenza].6f-8
Durante l’istruttoria, la Procura cassò dalla querela il reato di malversazione di denaro pubblico. Sicché rimaneva da giudicare se gli accusati,  dopo la notifica del 4 di novembre sulla sospensione del processo partecipativo decisa dal Tribunale Costituzionale, avesssero compiuto qualche atto per azione od omissione tendente a facilitare la celebrazione del processo partecipativo. Rimaneva anche da giudicare se,  dalla stressa data in poi, gli accusati avessero compiuto il reato di disubbidienza ad una risoluzione giudiziaria, come la Procura pretendeva di dimostrare.
Le richieste della Procura comportano pene di ineleggibilità per incarichi pubblici e multe. In caso di condanna, gli accusati non potrebbero esercitare alcun incarico pubblico esecutivo o elettivo: si tratterebbe di 10 anni per Mas e di 9 anni per le ex consigliere Ortega e Rigau.
Dato che questo procedimento affonda le radici in decisioni politiche contrapposte del governo di Madrid e di quello di Barcellona, il fatto che il Tribunale Superiore di Giustizia della Catalogna (TSJC) abbia permesso di tenere il dibattimento induce a credere che difficilmente la sentenza sarà assolutoria.
Le questioni tecniche più importanti sono aspetti formali della notifica agli accusati sulla sospensione del processo partecipativo. Tali aspetti formali cozzano con tutta la giurisprudenza del Tribunale Supremo spagnolo e si sarebbero dovuti risolvere in fase istruttoria.
L’assoluzione sarebbe un autentico fallimento del potere giudiziario, che rimarrebbe fortemente colpito per alcuni aspetti fondamentali: l’indipendenza riguardo agli altri poteri dello Stato e nei confronti dei diritti fondamentali della persona, tra cui  quello di non essere sottoposti ad un processo giudiziario mediatico come quello alquale si stà assistendo.
Occorre tenere presente che la prova degli elementi materiali del concretarsi dei reati soltanto si può formare con prove meramente strumentali, come le dichiarazioni dei testimoni, che eventualmente possono avere interessi o modi di vedere personali contraddittori anche per una stessa ideologia politica, o documentali, come la comparsa di fatture posteriori alla data in cui fu comunicata la sospensione, il che non prova che gli ordinativi fossero posteriori a quella data né che fossero stati fatti in data anteriore o posteriore o che quelli che vennero fatti non potevano piè essere fermati dagli accusati. In quel momento,  tutto il processo partecipativo era nelle mani dei volontari, prosciolti dal reato, poiché il 9N (9 novembre) non sarebbe stato possibile senza la loro partecipazione.
Questo fatto conduce all’irrazionale situazione di considerare colpevoli di un reato i presunti mandanti mentre se ne assolvono gli esecutori materiali.
Come se non bastasse, la notifica del 4 novembre al Governo della Generalitat non aveva il carattere di ingiunzione personale a nessuno degli accusati perché sospendesse qualche attività concreta, né avvertiva sulle conseguenze penali che la disubbidienza poteva comportare. Questo sol fatto avrebbe dovuto portare all’archiviazione del caso in fase istruttoria.
Che così non sia stato si può soltanto capire con l’ostinazione politica dello Stato, che non é disposto ad ammettere che, da secoli, la sua integrità territoriale è messa in discussione da una parte degli abitanti del suo territorio.
 
Giuristi ANC (Assemblea Nazionale Catalana)
traduzione: Jordi Minguell – ANC Italia

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