Il "no" persistente della Spagna può legittimare un'azione unilaterale della Catalogna

 
I docenti di diritto costituzionale Jorge Cagiao e Gennaro Ferraiuolo analizzano la costituzionalità del diritto a decidere e le possibili tabelle di marcia verso l’indipendenza della Catalogna
 Roger Cassany              Vilaweb    01-06-2016

              ferraiuolo 
 
Il diritto a decidere è contemplato nella costituzione spagnola e, in questi ultimi anni, la Catalogna ha accumulato tante ragioni per esercitarlo; pertanto, il rifiuto reiterato del governo spagnolo può arrivare a legittimare un’azione unilaterale della Catalogna. Questa è una delle tesi difese dai docenti di diritto costituzionale Jorge Cagiao (Università di Tours) e Gennaro Ferraiuolo (Università degli Studi di Napoli) nel libro ‘El encaje constitucional del derecho a decidir‘ (Catarata), appena pubblicato la cui presentazione è avvenuta a Barcellona il primo giugno.
 
Ma a quale azione unilaterale si riferiscono? Antoni Abat Ninet –anche lui docente di diritto costituzionale– la settimana scorsa aveva fatto una proposta al parlamento catalano: dichiarazione unilaterale di indipendenza e referendum subito dopo. Cagiao comprende e ritiene conseguente la tabella di marcia (full de ruta in catalano) definita da Ninet. Ferraiuolo considera questa strategia poco conveniente attualmente per gli interessi indipendentisti: opina, invece, che le elezioni del 27-S e il ‘no’ della Spagna a qualsiasi richiesta da parte catalana legittimano un referendum organizzato dal governo catalano, unilaterale e disobbediente. Sul diritto a decidere, sulla costituzione e sulle possibili tabelle di marcia nel momento attuale ci parlano in questa intervista. E ne parleranno ancora nella presentazione del libro presso la libreria Marcial Pons, con i politologi Jordi Muñoz (Università di Barcellona), Gemma Ubasart (ex-segretaria generale di Podemos in Catalogna e docente dell’Università di Girona) e Marc Sanjaume, dell’Istituto di Studi dell’autogoverno.
 
Cominciamo dall’inizio: il diritto a decidere trova posto nella costituzione?
—Jorge Cagiao[J. C.]: Se cerchi il diritto a decidere nella costituzione non lo troverai perchè non esiste un riferimento diretto. Ma affermare questo non sarebbe dare una risposta giuridicamente completa o corretta. Il diritto in generale non funziona soltanto a partire da ciò che i testi dicono, bensì si basa su quello che gli organi di applicazione estraggono o interpretano dai testi. Per organi di applicazione mi riferisco ai giudici, governi, parlamenti, ecc.. Da questa prospettiva, più fedele al diritto reale, il diritto a decidere ha sicuramente un posto nella costituzione.
 
In che modo?
—J. C.: Per esempio, a partire dal principio democratico, che si trova (questo sì) nella costituzione. E anche a partire da altre strade che la costituzione offre per un percorso giuridico abile a fare consultazioni su qualsiasi argomento. Per esempio, l’articolo 92 dice che il governo può autorizzare ed organizzare dei referendum consultivi chiedendo a tutti i cittadini. Qui la controversia giuridica consiste nel sapere a chi si riferisce quando dice ‘tutti i cittadini’. Ci sono interpretazioni restrittive che dicono che ‘tutti i cittadini’ si riferisce a tutti gli spagnoli. Altre più aperte argomentano che il referendum dovrebbe consultare soltanto i cittadini della comunità autonoma in cui il futuro politico della stessa è oggetto di consultazione. Nel caso di un referendum sul futuro politico della Catalogna, il governo spagnolo potrebbe interpretare l’articolo 92 in questo modo perchè la costituzione glielo permette. Su questo non ci sono dubbi. A parte questo, esiste anche l’articolo 150.2, che permette allo stato di delegare ad un’altra amministrazione, in questo caso la Generalitat della Catalogna, una competenza, cioè l’organizzazione di un referendum. Anche questa è un questione di interpretazione e non è corretto dire che la costituzione non lo permette.
 
Pertanto, dopo tutti questi anni che se ne parla, resta chiaro che si tratta unicamente di una questione di volontà politica?
—J. C.: Si, assolutamente. La costituzione offre gli strumenti necessari per applicare il diritto a decidere della Catalogna.
—Gennaro Ferraiuolo [G. F.]: Detto in un altro modo, il governo spagnolo dispone dello strumento per farlo, ma deve volerlo utilizzare. Il famoso ‘no quiero, no puedo’ (non voglio e non posso) di Rajoy è una mezza verità. Lui non vuole, certo. Ma non è vero che non può.
 
Nel libro dite alla fine che ‘ora è il momento dei politici’, quasi in contrapposizione ai giuristi. Vi riferite a questo?
—J. C.: Si, è semplice. Si tratta di questo. Per noi giuristi, è chiaro che il diritto a decidere si incastra nella costituzione e che ci sono gli strumenti necessari per applicarlo. Siamo arrivati a questa conclusione. Ora è il momento dei politici, perchè loro devono agire.
—G. F.: Un esempio, il matrimonio omosessuale. Per renderlo legale si interpretò la constituzione in forma evolutiva. Qui avrebbero dovuto fare la stessa cosa tempo fa.
 
Nel libro spiegate anche che l’opinione pubblica, politica e giuridica in Spagna sul caso catalano è poco plurale e che, invece, in Catalogna la discussione su questo argomento è più ricca…
—J. C.: Si, io lo interpreto così: in Catalogna esiste un conflitto tra nazionalismi o, piuttosto, su cosa è o quale è la nazione. In Catalogna coesistono due nazionalismi: il catalano e lo spagnolo. E si scontrano. In Spagna, invece, semplificando, al di là delle eccezioni della Catalogna, il Paese Basco e, in grado minore, la Galizia, esiste un unico nazionalismo quasi egemonico, lo spagnolo, che non discute i termini della nazione. Questa omogeneità, permea il dibattito e si trasferisce alla società civile, agli accademici, ai giuristi, ecc. E questo fa che non esista praticamente un dibattito sulla questione. Il contesto catalano, invece, molto più plurale, offre spazio per il dibattito.
 
Ma loro dicono che i catalani impongono, che non sono plurali e li accusano addirittura di nazi…
—G. F.: Si, è paradossale. Succede che, tuttavia, in Spagna si parte dall’idea di un’unica nazione spagnola e tutto quello che la mette in discussione è pericoloso. E dico tuttavia perchè il fatto più sorprendente è che l’articolo 2 della costituzione si riferisce alle nazionalità dello stato. E, il preambolo, ai popoli della Spagna. Ma, in pratica, non si tengono conto di questi riferimenti, se volete poveri o ambigui, ma che dimostrano che almeno allora, quando fu redatta la costituzione, bisognava fare qualcosa per accontentare i catalani, probabilmente credendo che ciò era sufficiente e che le sue rivendicazioni si sarebbero diluite. Ovviamente così non è stato.
 
Quindi, se il diritto a decidere può trovare posto all’interno della costituzione ma cozza con un rifiuto permanente da parte del governo spagnolo, si può giustificare giuridicamene una DUI (dichiarazione unilaterale di indipendenza)?
—J. C.: Bene, qui troviamo opinioni di ogni tipo. Io personalmente, penso di si. Penso che il ‘no’ permanente del governo spagnolo può legittimare un movimento unilaterale della Catalogna. Ma bisogna ammettere che si tratta di una questione complessa. E’ evidente che il governo catalano ha seguito tutti i passi e tutto quello che ha chiesto è stato rifiutato sistematicamente, arrivando al punto che alcune cariche politiche di primo livello sono sotto processo per una consultazione di carattere quasi festivo. Di motivi per pensare che non ci sono altre strade oltre a quella unilaterale, ce ne sono. E gli indipendentisti possono pensare con ragione che le possibilità che si possa votare come si fece in Scozia e in Quebec sono praticamente inesistenti, anche se dovesse cambiare il governo in Spagna. Ma bisogna capire che la legittimità non deve arrivare, o non soltanto, dalla passività o la cattiva fede del governo spagnolo. La legittimità deve arrivare dalla Catalogna, per esempio con una dichiarazione di indipendenza e un referendum subito dopo. Allora saranno i catalani, con il loro voto, che legittimeranno questa strada.
—G. F.: Io credo, però, che il rifiuto permanente del governo spagnolo e il risultato delle elezioni del 27-S possono legittimare soltanto un referendum unilaterale sull’indipendenza. Pensate che ci fu un 48% di voti chiaramente indipendentisti e un altra percentuale di voti non trascurabile tra “Catalunya Sí que es Pot”, “Unió” e, probabilmente, una parte del voto socialista, che sono a favore di una consultazione. Questo quadro può legittimare un’azione unilaterale come un referendum. Non dico che sia  facile, ma che si può legittimare. D’altra parte, bisognerebbe farlo diverso dalla consultazione festiva del 9 Novembre. Bisognerebbe garantire una partecipazione elevata e un dibattito previo reale. Inoltre, le istituzioni, a differenza del 9-N, dovrebbero essere implicate fino in fondo. Bisognere disobbedire realmente. Questa disobbedienza si potrebbe interpretare da fuori come una disobbedienza legittima. Sarebbe poco ragionevole, visto da fuori, non voler capire che, arrivata la Catalogna a questo punto, questa consultazione (con disobbedienza inclusa), non si possa fare.
 
Ma per il 9-N ci sono già delle cariche politiche di primo livello sotto processo, in tribunale…
—G. F.: E questo è assurdo. Lo trovo veramente assurdo. All’interno delle stesse autorità giudiziarie ci sono delle voci critiche. Come disse il tribunale canadese in piena discussione sul referendum in Quebec, ‘il sistema non vive soltanto dall’adesione alle leggi, ma anche dalla legittimazione degli organi politici’. E lo fa cercando un equilibrio tra i valori basici come il principio democratico, lo stato di diritto, la tutela delle minoranze e il federalismo. Questa legittimazione degli organi politici esiste in Catalogna. Senza andare troppo lontano, alla fine di maggio c’è stata una manifestazione a Barcellona contro le decisioni del Tribunale Costituzionale dove c’erano partiti diversi, sindacati, organizzazione sociali… Anche questo é legittimazione. Invece, il Tribunale Costituzionale soffre una crisi di legittimazione che riconoscono alcune voci non necessariamente indipendentiste.
—J. C.: Si, processare dei politici per il referendum del 9-N è completamente assurdo. Non ha nè capo nè piedi. Ma dobbiamo tenere presente che, per il caso catalano in concreto, in Spagna non si parla di delegittimazione del Tribunale Costituzionale. Se ne parla, ci sono delle voci che lo riconoscono, si, ma in generale solo quando si fa riferimento ad altri ambiti. Quando parlano del conflitto catalano, dimenticano che il Tribunale Costituzionale è politicizzato.
 
Parlavate della necessità di una partecipazione elevata in un ipotetico referendum, sia prima o dopo la dichiarazione. D’accordo, ma poco tempo fa il docente e vostro collega Antoni Abat Ninet adduceva che non bisogna preoccuparsi della partecipazione, che si contano i voti di chi ha votato e basta, come nel caso dell’Irlanda del Nord.
—J. C.: Certo, Ninet ha ragione. A priori, se non si fissano delle regole particolari prima, si contano i voti di quelli che votano e basta. Ma, facendo un referendum ora, supponendo che vincesse il si ma con una bassa affluenza, il problema esisterebbe ancora. Per questo io vedo più efficace, se mi metto al posto di un indipendentista, di fare una dichiarazione unilaterale di indipendenza sul serio e, dopo, un referendum, anche se ciò non piace a tutti gli elettori catalani. In questo modo, si potrebbe raggiungere una maggiore partecipazione dei contrari all’indipendenza.
 
Questa è precisamente una tabella di marcia simile a quanto propone il professore Ninet…
—J. C.: Si, da un’ottica indipendentista lo trovo conseguente e strategicamente difendibile. Certo che i politici devono decidere bianco o nero in poco tempo e che, spesso, non esiste marcia indietro. Non è facile. Con un 60% di voti indipendentisti sarebbe molto più facile, ma anche così, quello che propone Ninet mi sembra fattibile.
—G. F.: A me pare interessante, ma credo sia troppo rischioso per gli interessi indipendentisti. Non penso che sia la migliore strategia, per le ragioni che ho dato prima. Penso che ci sarebbero troppe variabili incontrollabili. Invece, credo che ancora esista del margine per incamerare altri motivi per l’indipendenza, perchè l’indipendentismo, visto da una certa distanza, non ha smesso di crescere. E dobbiamo tenere conto che l’Europa cambia e cambia molto velocemente. Pensate che quello che potrebbe capitare in Scozia, sia un ipotetico nuovo referendum o dopo il referendum del Regno Unito sulla “brexit”, potrebbe trasformare molte cose. Può succedere che la Scozia voti per rimanere nell’Unione e che il resto del Regno Unito voti per uscirne. Se capitasse così, inoltre, si potrebbe spezzare l’argomento secondo il quale la Catalogna potrebbe essere espulsa dall’Europa.
 
Non siete catalani, non siete sospettati di essere parziali o pregiudizialmente indipendentisti, lavorate in università straniere, il libro è stato editato a Madrid, e il sottotitolo dice ‘un approccio controverso’… Nessuno si è sorpreso per quello che difendete, non siete stati richiamati?
—J. C.: No, per adesso non ci hanno detto niente. Facciamo un’analisi puramente giuridica. Questo non è un libro indipendentista, è un libro su diritto costituzionale da un’ottica accademica. D’altra parte, visto lo stato della questione, se qualcuno ci vuole accusare di distorsione indipendentista lo farà comunque.
 
Per finire, vedete vicina l’ndipendenza della Catalogna?
—J. C.: Io sono un pò pessimista.  Sono molto scettico rispetto alla capacità spagnola di offrire un’uscita adulta a tutto questo. E da parte catalana, non vedo la determinazione per andare avanti a tutti costi in questo momento. Non è una critica, è solo una constatazione.
—G. F.: Io, invece, credo che non bisogna smettere di essere ottimista. Come dicevo, il contesto europeo e, perfino, quello spagnolo possono cambiare molto. E come dite voi qui, pazienza, che “de mica en mica s’omple la pica” (potremmo dire, che a goccia a goccia si scava la pietra). Motivi e argomentazioni non ne mancano.
 
traduzione   Àngels Fita – ANC Italia

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