Catalogna ricca e abbondante ?

 
JORDI ANGUSTO – 06/03/2016  –   ARA.CAT
Indicatori come il PIL pro capite o le esportazioni descrivono la Catalogna come un paese ricco; uno dei territori più ricchi della Spagna e tra i più ricchi di Europa. Di conseguenza, le nostre lamentele per il deficit fiscale suonano come rivendicazioni egoiste e non solidali, in Spagna come in Europa. Le cose cambiano molto se invece di prendere il PIL, un indicatore grossolano che l’anno scorso è aumentato dopo l’aggiunta della prostituzione, prendiamo indicatori più solidi. Per esempio, l’indice regionale di sviluppo sociale che l’Unione Europea ha appena pubblicato, e dove la Catalogna si colloca nella fascia bassa delle classifiche spagnole ed europee, al di sotto dell’Aragona, la Rioja, Navarra, il paese basco, Madrid, Asturie e Castiglia/Leon.
Per comporre questo indice si tengono conto di tre grandi pilastri: la copertura delle necessità basilari, le basi di benessere sociale e le opportunità di sviluppo personale. Come necessità basilari: nutrizione, sanità, abitazione, sicurezza, acqua e rifiuti. Come basi del benessere sociale: educazione, salute, informazione, comunicazione e ambiente. E come opportunità di sviluppo personale: diritti individuali, libertà di scelta, tolleranza, inclusione e formazione superiore. Ciò non sorprende in quanto si tratta di un insieme di fattori altamente connesi con il volume e la destinazione della spesa pubblica.
Che la Catalogna sia la terza comunità autonoma a contribuire con più risorse fiscali in Spagna, dopo Madrid e le isole Baleari, e la decima quando deve riceverne, spiegherebbe già abbastanza il nostro relativo basso livello di sviluppo sociale. E se si aggiunge che queste scarse risorse si ricevono a fronte di un più alto costo della vita in Catalogna (+8,5%) spiega ancora meglio e rende più comprensibile le rivendicazioni catalane e perchè trovano più sostegno tra i lavoratori e i piccoli imprenditori rispetto all’alta borgesia.
Alla fin fine, chi paga più imposte e, pertanto, fa più trasferimenti è il gruppo dei professionisti e lavoratori, mediante IRPEF e IVA, e quello dei piccoli imprenditori, mediante IRES e IRAP. Al contrario, le grandi imprese e le grandi fortune contribuiscono molto meno in termini relativi e non vedono compromesse le loro possibilità di sviluppo personale per mancanza di finanziamento pubblico. L’esempio più eclatante è quello dell’INPS, alimentato dai contributi dei lavoratori, con un tetto per stipendi superiori ai 35.000 euro; cioè, come succede con le casse di resistenza sindacale, alcuni lavoratori supportano gli altri e il capitale sta a guardare; o peggio: fa l’amministratore.
Non è da meravigliarsi che nell’UE il meccanismo di trasferimenti fiscali più maturo —come studio di possibile implementazione— sia il sussidio di disoccupazione. Una sorta di assicurazione per i paesi con più disoccupazione, che pagherebbero i lavoratori di quelli che ne hanno di meno. Solidarietà tra lavoratori che facilmente può sfociare in attriti se alcuni pensano che i disoccupati di qui o di là, lo sono per volontà propria. Invece, non se ne parla di finire con l’elusione fiscale delle multinazionali o di impiantare una tassa per le grandi fortune e, con questo, mettere in moto un vero piano di investimenti per finire con la disoccupazione e che possa servire ad accelerare la transizione energetica.
Torniamo ora in Catalogna: all’alta borgesia non importa nulla del deficit fiscale e si trova già bene con l’avanzo commerciale catalano esistente con la Spagna, avanzo che riesce a compensare un deficit fiscale che la suddetta borgesia non paga, anche se l’una (deficit fiscale) e l’altra cosa (avanzo commerciale) sono cose diverse e anche se la Catalogna finisce per avere un indice di sviluppo sociale inferiore a quello delle regioni riceventi dal già citato deficit fiscale.
Anche le colonie solitamente sono nettamente esportatrici e arrivano ad avere un PIL per nulla irrilevante, benchè esso vada in beneficio della metropoli. Sfortunatamente, lo stato spagnolo non pubblica i dati che ci permetterebbero di conoscere il nostro reddito nazionale —parte di questo PIL è nostro—, ma in ogni caso sappiamo che il PIL viene ridotto di un 8% dovuto al deficit fiscale; una riduzione, però, che l’UE non calcola al momento di distribuire i fondi strutturali in funzione del ….PIL.
Speriamo, dunque, che questo nuovo indice regionale di sviluppo sociale serva a modificare questo criterio di distribuzione e riesca a far riflettere quelli che ancora non capiscono perchè la Catalogna sta preparando i bagagli.
traduzione   Àngels Fita – ANC Italia

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